La giornata si preannunciava luminosa fin dal primo mattino. Un vento sostenuto si era alzato fin dalla sera precedente quando, ammirando il cielo dalla finestra dopo cena, mi dicevo che le stelle erano superiori al solito. Durante il viaggio sul Frecciarossa ho pensato al mio amico Sabato Cuomo perché mi ritrovai seduta accanto ad un terzetto d’ingegneri napoletani che, con le loro caustiche ed esilaranti battute sulla politica, mi distoglievano dal mio libro costringendomi involontariamente ad interrompere la lettura, in quanto era impossibile trattenere le risate. Mi sono goduta il tragitto in macchina fino al Campidoglio dove il cielo era sempre più azzurro, un azzurro quasi marino che rendeva il tutto più splendente. Sottolineo che un panino al prosciutto l’ho pagato solo 2 € e ho persino conservato lo scontrino: lo mostrerò alla barista dalla quale ogni tanto pranzo e chiederò cos’ha di diverso il pane e il crudo brianzolo per costare esattamente il doppio. Le due ore trascorse nell’attesa di poter entrare nella Sala Promoteca sono praticamente volate, tra orde di chiassosi ragazzini in gita e frotte di turisti da ogni dove, anche se a me sembrava di trovarmi in un distaccamento statunitense in più di un’occasione.
All’ingresso ho incontrato i messi comunali più gentili e simpatici che mi sia mai capitato in cinquant’anni di vita, e durante l’attesa ho chiacchierato amabilmente con Corrado Rainaldi, autore de Il lido verde, giunto giusto sei posizioni prima di me. Abbiamo parlato dei nostri libri, come una mamma e un papà che si ritrovano a chiacchierare dei propri figli all’uscita di scuola. E soprattutto mi ha raccontato, con occhi umidi e voce emozionata, della sua scelta di vita, ora che è solo e in pensione: una scelta di solitudine e scrittura in un luogo ameno ma volutamente sperduto. Devo dire che una certa invidia l’ho provata piuttosto per questa possibilità che per tutto il resto.
La sala Promoteca è un gioiellino di rara bellezza che quel giorno era particolarmente solare, così ha sottolineato anche il presidente del premio Pino Aquafredda all’inizio della cerimonia di premiazione, la quale si è piacevolmente dilungata, visto il gran numero di partecipanti e premiati. Essendo io sia madre che figlia, mi sono sinceramente commossa quando sono stati premiati sia bimbi che anziani: entrambe le categorie non potevano non ricordarmi mia figlia e i miei genitori. E rammentarmi la bellezza della parola poetica che incanta grandi e piccini e non conosce età e mai farà distinzioni, essendo un’arte senza tempo. Per una manciata di minuti ci siamo ritrovati in carcere, quando è stata letta la testimonianza del vincitore assoluto nella sezione narrativa con il libro Gli uomini ombra, Carmelo Musumeci, detenuto di massima sicurezza, che utilizza la scrittura come strumento di divulgazione di questa realtà misconosciuta e dimenticata da tutti. E abbiamo anche avuto la compagnia di un ospite pluripremiato venuto da lontano: Sergey Durasov; nonostante sia di nazionalità russa, ama talmente la nostra lingua e il nostro paese da comporre in italiano. E tantissimo altro ancora.
La sera si preannunciava un’affollata rimpatriata tra amici, e così è stato, quando ho raggiunto Pietro Vanessi a casa sua. Lì temo che la mia adrenalina abbia superato il livello massimo, e l’emozione era alle stelle. È stato come rivedersi un film d’epoca, di giorni di lavoro trascorsi insieme in quel di Milano e serate in allegria in tempi che, almeno per me, cominciano ad essere un po’ troppo lontani.
Il Frecciarossa del ritorno mi sembrava più brutto di quello dell’andata, il paesaggio era più triste, il cielo lievemente velato. La mia anima però era serena e la soglia di casa è stata varcata con felicità, perché ero certa e consapevole che il mio libro era stato letto veramente: dettaglio non da poco e per nulla scontato nel panorama dei premi letterari italiani.
A proposito, mi stavo dimenticando: il mio romanzo Sogno amaranto è giunto al nono posto su 350 libri partecipanti.